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licantropervert
view post Posted on 29/6/2008, 13:53




Il Lupo Mannaro


“Il lupo apparirà davanti a te:
prendilo come tuo fratello,
perché il lupo conosce l’ordine delle foreste,
egli ti condurrà per via piana verso il Paradiso”
Antico canto funebre rumeno


Che si tratti di una brughiera desolata della lontana Scozia, il sottobosco di un’intricata foresta in Scandinavia o la cima di un grattacielo di una megalopoli americana, poco importa, l’importante è che sia di scena la “Sovrana di tutte le Lune”, come citava una canzone gitana, la Luna Piena, ed una creatura a lei indissolubilmente legata, un essere in agguato, famelico e distruttore, mostruoso e dannato, pura rappresentazione di quegli istinti bestiali da cui l’uomo è sempre stato ineluttabilmente attratto. Questa è la visione grossolana cui molti fanno riferimento non appena pensano al Lupo Mannaro: un mosaico di elementi partorito dalla cultura letteraria e, in maniera più marcata, da quella cinematografica dei nostri tempi. Se poi ci addentriamo nei giochi di ruolo le interpretazioni personali si moltiplicano all’infinito. Ebbene, l’origine di questo affascinante personaggio ha radici molto lontane, che niente hanno a che vedere con queste nostre stravaganti interpretazioni.
Vediamo allora di fare un po' di ordine.
Innanzitutto l’etimologia del nome. Il termine “lupo mannaro” deriva dal latino “lupus homenarius”, vale a dire “lupo che si comporta come un uomo”. Nell’antica Roma i lupi mannari venivano chiamati “rovesciapelle” poiché si pensava che crescesse loro il pelo all’interno, e quindi che dovessero rivoltare la propria pelle per poter compiere la trasformazione. Più incerta l’etimologia del francese “loup-garou”: i più rintracciano nel termine “garou” una radice che significa “uomo”. Palesi invece le derivazioni dei termini inglese e tedesco “werewolf” e “werwulf”: la radice indoeuropea “wer” è la stessa da cui deriva il latino “vir”, “uomo”. Altrettanto chiare le derivazioni nelle lingue slave: il polacco “wilkolak”, il russo “volklak”, il bulgaro “vulkolak”, lo sloveno “volkodlak”, e così via. In tutte queste aree linguistiche e geografiche, il termine indica un essere umano che, per diversi motivi, assume forma e comportamento di lupo, dandosi a stragi sanguinose e abbandonandosi ad atteggiamenti cannibalici. E’ invece nei rituali sciamanici delle culture nomadi paleolitiche che gli antropologi rintracciano le radici del termine “licantropia”. Se infatti l’etimologia vuole il termine come sinonimo di lupo mannaro, lycos=lupo e antropos=uomo, il suo significato è un altro: ovvero la capacità, da parte di esseri umani, di trasformarsi, in determinate condizioni, nell’animale totemico, ovverosia rappresentativo e protettivo della tribù. In Europa primeggiano il lupo e l’orso, in certe zone dell’Africa - Abissinia, Sudan, Nubia - l’animale mannaro è la iena, nell’Africa Centrale, gli Stregoni si trasformano in leoni e leopardi. A lungo gli Inglesi lottarono contro i “Mau-Mau”, uomini-leone, e si ha notizia anche di uomini-pantera, uomini-caimano, uomini-scimpanzè. Nell’America Settentrionale la belva scelta per la trasformazione è ancora il lupo. Una tribù pellerossa, i “Pawnee”, si auto definiva “stirpe di lupo” e, cacciando i bisonti, ne indossava la pelle e ne imitava la tecnica. I giovani erano condotti a spiare i lupi, per impararne il modus vivendi. Al Centro e al Sud ci si rivolgeva invece al giaguaro. L’Asia è il regno della tigre. Anche in Cina appaiono le trasformazioni in tigre, pur se non mancano, secondo le regioni, altri animali, fra cui il topo e la scolopendra. La volpe è presente soprattutto in Giappone, e non sempre peraltro agiscono in senso malefico. Nella regione di Ninko, si dice che donne-volpi, possano entrare in famiglie umane, sposarsi, e portare fortuna a chi le ha accolte.
Tornando alla storia, se è vero che “l’uomo è figlio del suo tempo”, ed è vero, in ognuna delle epoche storiche che hanno assistito all’evoluzione del pensiero umano e al progresso di quella primordiale forma di comunità che in seguito sarebbe divenuta la società moderna, ci troviamo di fronte a interpretazioni sempre più diverse sulla figura del lupo mannaro. Le origini si perdono ovviamente nell’ancestrale rapporto tra uomo e lupo, un dualismo venutosi a creare già nei tempi delle grandi migrazioni dell’uomo primitivo nell’America Settentrionale e nel continente asiatico. Fra tutti gli animali selvaggi il lupo è quello che maggiormente ha segnato la civiltà occidentale. Ai primordi l’idea che il lupo fosse uno “psicopompo”, cioè una creatura destinata a guidare nell’Aldilà le anime dei morti, è antica quanto la cultura delle stirpi d’origine indo-europea, come testimoniano le urne funerarie in forma di testa di lupo nelle quali i primitivi popoli custodivano le ceneri dei defunti. Per le popolazioni non stanziali legate indissolubilmente alla caccia, il lupo rappresentava “il” rivale per antonomasia: un competitore che, nella medesima nicchia ecologica, perseguiva le stesse prede, un avversario più veloce e più forte, dotato di sensi sovrumani e “armato” dalla natura in modo terribile. Per riuscire nella caccia, si doveva perciò ingraziarsene lo spirito: il che, nelle culture sciamaniche, avveniva per via imitativa: vale a dire, facendosi “invasare” dal Dio della Bestia sino ad assumerne i poteri, il comportamento, perfino l’aspetto. Della funzione totemica del lupo presso le genti indo-arie si ha traccia nelle infinite leggende che nacquero quando le religioni virili, “solari” e d’impianto sciamanico da loro portate, vennero a scontrarsi e fondersi con le religioni femminili, “lunari”, e basate su riti della fertilità adottate dalle popolazioni europee autoctone che subirono l’invasione dei nomadi provenienti dalle steppe asiatiche, agli albori dell’Età del Bronzo. L’antica sovrapposizione di queste due culture si rivela nei miti che vedono il lupo come animale propiziatore delle fecondazioni. Il mito greco si avvale di figure quali Latona, che, tramutatasi in lupa, generò le divinità legate al Sole e alla Luna, ovvero Febo e Artemide, e Licaone, capostipite dei Pelasgi, trasformato in lupo da Zeus. “Figli dei lupi” si proclamavano tanto i Sabini quanto i Celti: ed è per questo forse che ad una lupa venne affidata la protezione dei due divini gemelli, Romolo e Remo, fondatori dell’Urbe. Secondo Diodoro Siculo, Osiride rinasce sotto forma di lupo, e persino nella cultura mongola il Lupo Celeste è genitore di Eroi, l’ultimo dei quali fu Gengis Khan. Probabilmente risale a questo periodo l’associazione più intima tra lupo e luna piena. Oltre al naturale fascino che da sempre l’astro esercita sull’animale, la luna, con i suoi cicli, rappresenta fedelmente il ciclo ovulatorio femminile: entrambi sono di 28 giorni, entrambi prevedono più fasi e inoltre il parto avviene spesso durante la luna piena o in coincidenza con lo scadere di una fase lunare. Non dobbiamo dimenticare che fino all’avvento del calendario solare, il tempo era scandito dai cicli lunari, e sui moti del satellite terrestre gli uomini basavano tutti gli eventi della loro vita. Persino le culture sciamaniche si basavano sulla luna, il cui ciclo durava quattro volte 7: numero considerato magico per antonomasia. Successivamente la figura dello spietato cacciatore viene accomunata con quella dell’animale iniziatico, ovvero rivelatore di conoscenze occulte, l’immagine del lupo viene così connessa a quella della sapienza. D’altronde nel nome del lupo è insita la radice “lyk -”, che è la stessa da cui deriva il nome luce (lux): la creatura che vede al buio è dunque anche quella che dissipa le tenebre. “Lykaion”, territorio del lupo, era chiamato il bosco sacro che circondava il tempio di Febo ad Atene, Aristotele usava tenervi le sue lezioni, ed è questa l’origine del termine “liceo”. Nel passaggio dalle culture nomadi e cacciatrici a quelle stanziali e agricole, muta radicalmente il modo di considerare il lupo. Se il cacciatore ha bisogno dello spirito del predatore che lo guidi ad uccidere, il contadino deve invece proteggere le greggi da chi vuole cibarsene. Il sacrificio in onore del lupo, da propiziatorio si trasforma in scongiuro: non si prega più perché il Grande Predatore intervenga, ma perché stia lontano. Le cerimonie sacrificali, il più delle volte con vittime umane, celebrate in onore del lupo, assumono valenze sinistre. Lo Sciamano lascia il posto allo Stregone, in contatto per via diabolica con le istintualità più perverse. Il potere della licantropia, ovvero la capacità di riprodurre le caratteristiche dell’animale totemico, diventa segno di una punizione divina o frutto di un’alleanza con i poteri delle tenebre. Quanto al lupo, da animale propiziatorio, assume - e non le perderà più - le caratteristiche di mostro antropofago, di belva feroce generata dalle tenebre e di creatura infernale. Da psicopompo si fa guardiano del regno dei morti: Cerbero, secondo alcuni, è un lupo a tre teste, Ade porta un elmo di pelle di lupo che lo rende invisibile, e lo stesso valeva per Ajta, il Dio etrusco del mondo sotterraneo, nell’antico Egitto il Dio Ap-uat, che traghettava le anime nell’aldilà, aveva aspetto di lupo. Presso i Celti il lupo è necrofago, e lo si dipinge seduto sulle zampe posteriori, nell’atto di divorare un morto. Viene esaltato al contempo il carattere di feroce combattente del lupo, che già i Greci associarono ad Ares, Dio della Guerra, un tema che ebbe la sua diffusione più ampia soprattutto fra le genti nordiche. Nelle sperdute e gelide lande del nord, dove si odono leggende sui lupi Freki e Geri, accompagnatori di Odino, e sul terribile Fenrir, figlio di Loki, che nel Ragnarok, la battaglia finale, divorerà l’intero universo, i temuti “Ulfhedhnir” rappresentano un chiaro esempio di poteri sciamanici mutati in chiave guerriera. Questi esaltati lottatori “dalla casacca di pelle di lupo”, una volta invasi dallo Spirito del Lupo, acquisiscono infatti forza e resistenza sovrumane, ignorano dolore e paura, e compiono atti prodigiosi. Loro caratteristica è la furia cieca, incontrollabile, rivolta contro chiunque, anche i parenti e gli amici. L’importanza che il lupo rivestiva presso le popolazioni germaniche è visibile anche durante l’entrata dei barbari in Italia. I Longobardi, ad esempio, invasero l’Italia sotto il segno del lupo, simbolo di forza e di ferocia, sempre ben evidente nei loro nomi, sui loro scudi e sulle loro insegne di guerra. Lupo venne chiamato un importante duca longobardo del Friuli del 663 d.C. e un altro a Spoleto nel 750 d. C. Con la conversione dei Vichinghi al cristianesimo questi impavidi guerrieri perdono l’aura di orrore sacrale, per assumere sempre più il carattere della maledizione diabolica, o del frutto di una mercificazione con le Potenze Infernali. La Chiesa si dimostrò particolarmente impietosa nei confronti del lupo: probabilmente ciò è dovuto da una parte al fatto che il cristianesimo fu l’elaborazione di un popolo prevalentemente dedito all’esercizio della pastorizia, attività che vedeva nel lupo il suo primo avversario, e dall’altra all’identificazione dell’Impero Romano con il lupo, società che fu ben poco tollerante con i primi cristiani. All’epoca della “caccia alle streghe”, nell’Europa cinquecentesca, la figura del lupo mannaro era ormai inestricabilmente legata con quella dello stregone, schiavo del demonio: sotto questa forma, infatti, streghe e stregoni erano soliti recarsi al Sabba infernale.
Giunge così al suo ultimo atto la storia di questo affascinante animale: da spirito tutelare, procacciatore di prede in questo mondo e guida delle anime nell’altro, a simbolo della fertilità, da animale iniziatico a entità da scongiurare e carceriere del regno dei morti, infine a trastullo di Satana, camuffamento animalesco atto a coprire le azioni più esecrabili e nefande.
Per quanto riguarda il mito, il periodo che vide la nascita delle più numerose dicerie e leggende sul lupo mannaro fu quello a cavallo tra quattrocento e seicento, momento in cui l’Europa, soprattutto Francia e Germania, fu soggetta a vere e proprie epidemie di licantropismo. Nel 1608 il demonologo Bodin arrivò a contestare perfino l’esistenza dei veri lupi. Si tracciò così un’eziologia, una terapia e una profilassi dell’infezione licantropica. Nonostante numerose cause siano sospette di operare l’orrenda mutazione, come una maledizione divina, dormire sotto la luna piena, nascere la notte di Natale, bere l’acqua che si raccoglie nelle orme lasciate da un lupo mannaro, quella di gran lunga più importante è di natura diabolica: è il Diavolo infatti che concede questo dubbio privilegio ai suoi seguaci più meritevoli. L’idea che l’infezione possa essere trasmessa dal morso di un altro lupo mannaro è invece soltanto di origine cinematografica: nelle narrazioni tradizionali non ve n’è traccia. Guarire dalla maledizione non è impossibile, ma certo è piuttosto difficile. I contadini francesi ricorrevano allo scorticamento, altri consigliavano di far flagellare il lupo in forma umana da vergini armate di verghe di frassino, fino a coprirlo di sangue, poi gli si gettava addosso zolfo, olio di ricino, aceto e pece bollente. I sopravvissuti guarivano. La sensibilità all’argento è una tradizione più letteraria che effettiva. I sistemi preventivi sono molteplici. Per difendere la propria casa occorre coltivarle intorno avena, cingerla di una palizzata di frassino e appendere vischio alla porta e alle finestre. Di fronte ad un contatto ravvicinato invece basta rifugiarsi in cima ad una scala, gettargli addosso un mantello, o accecarlo con una forte luce, mentre colpirlo in fronte con un forcone può costringerlo a riprendere l’aspetto umano. Per proteggere i nati a Natale dal loro triste destino si incide ogni anno, per tre anni, una croce sul loro piede sinistro con un ferro rovente. Ad Haiti si fanno mangiare loro scarafaggi fritti con aglio e olio di ricino. Per ciò che concerne la presenza del termine “licantropia” nella cultura medica, è interessante notare che il fenomeno, inteso come malattia mentale, era noto già da tempi antichissimi: nel secondo sec. d. C. Marcello di Side e C. Claudio Galeno la consideravano infatti una forma di “melanconia cerebrale”. Attualmente i comportamenti licantropici sono ascritti a diversi disturbi psichici. Spesso vengono spiegati come una forma di sdoppiamento della personalità, che induce coloro che ne sono affetti ad andare in giro di notte a comportarsi come lupi. Questa malattia mentale può aver contribuito alla nascita delle leggende sui lupi mannari, così come i comportamenti di persone affette da delirio, da crisi epilettiche o da forme spettacolari di rabbia. Nel 1949 venne arrestato a Roma un uomo che abbaiava alla luna e si comportava esattamente come un lupo: era affetto da isteria. Alla base di comportamenti licantropici possono essere chiamate in causa anche malattie di natura non neuro-psichiatriche, come l’ipertricosi, che determina la comparsa di un folto pelo sul volto, e la porfiria, responsabile di fotofobia, arrossamento di unghie e denti, e macchie cutanee.
La narrativa è costellata di opere che trattano del lupo mannaro. Autori di particolare interesse sono: Petronio, che nel “Satyricon” inizia questa lunga tradizione, C. Maturin, uno dei rappresentanti della narrativa gotica, nel “The Albigenses” (1824), G. W. Reynolds col suo romanzo venduto in dispense settimanali “Wagner the Wher-Wolf” (1846-1847), J. Williamson con “Darker than You Think” (1948), uno dei romanzi più famosi, W. Strieber con il suo “Wolfen” (1978), Tanith Lee con “Lycanthia” (1981). E ancora: Dumas, Lovecraft, Conan Doyle e Stephen King.
Anche il cinema ha detto la sua in merito: “The Werewolf”, film muto del 1913 di H. McRae, rappresenta il capostipite, “L’Uomo Lupo” nel 1941 di G. Waggner, con Larry Talbot divenuto leggendario interprete, “I was a Teenage Werewolf” (1957) di G. Fowler jr., “L’Ululato” (1981) di Joe Dante, “Un Lupo Mannaro Americano a Londra” (1981) di J. Landis, divenuto a tutti gli effetti un cult-movie, “Unico Indizio la Luna Piena” (1985) di D. Attias, tratto da un romanzo di Stephen King, “Wolf” (1993) di M. Nichols con Jack Nicholson nella parte del lupo mannaro, fino a “Un Lupo Mannaro Americano a Parigi” (1997) di A. Waller, il primo dove compare una società di licantropi e dove i lupi mannari sono interamente prodotti al computer.
I giochi di ruolo non potevano farsi scappare un personaggio di questo calibro, e così in tutti i bestiari che si rispettino è presente “almeno” un lupo mannaro, con tanto di descrizione fisica, comportamento e statistiche. Ruolo decisamente più centrale è stato conferito dalla WhiteWolf nel suo “Werewolf: The Apocalypse”. In questo caso i giocatori stessi vestono i panni di lupi mannari - “Garou” - in grado di trasformarsi in ben quattro forme: “Glabro”, la forma più simile all’uomo, “Crinos”, la forma da battaglia, “Hispo” ed infine “Lupus”, lupo in tutto e per tutto. I Garou, divisi in 13 tribù ciascuna delle quali caratterizzata da indole, comportamento e spirito totemico, lottano per la salvaguardia di Gea, entità rappresentativa della natura, contro lo Wyrm e le sue creature, rappresentazione fisica della corruzione e del sovvertimento dell’ordine naturale. Per chi fosse incline ad altre forme licantropiche, niente paura: la medesima casa editrice ha pubblicato manuali per impersonare uomini-coccodrillo, uomini-coyote, uomini-corvo, uomini-felino, uomini-gorilla, uomini-orso, uomini-ragno e uomini-topo.

 
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